Vita di Samuel Johnson

Vita di Samuel Johnson
Marcel Schwob ha scritto che se Boswell fosse riuscito a concentrare in dieci pagine la sua monumentale Vita di Samuel Johnson, avrebbe dato alla luce l’opera d’arte tanto attesa. Quasi raccogliendo la sfida, fra il 27 luglio e il 17 agosto del 1964, Giorgio Manganelli lesse al Terzo Programma radiofonico un testo che rappresenta una stupefacente ‘biografia sintetica’ e insieme un geniale ritratto collettivo dove – sullo sfondo di una Londra torva e sordida, caotica e rissosa, ma amatissima – accanto a Johnson figurano i suoi più cari amici: Richard Savage, scrittore fallito, sregolato e ribaldo, Topham Beauclerck, ilare e irresponsabile libertino, e naturalmente James Boswell, autore di un «calco letterario fedele fino alla allucinazione» del modo di essere del Dottore. Uomini dalla prensile passionalità, capaci di offrirgli un’immagine già vissuta e intellettualizzabile dell’esistenza: l’ideale per Johnson, che ambiva a elaborarne un’esperienza ‘innocente’, a essere insomma «esperto e incorrotto». Ma il Johnson di Manganelli è ancora di più: il primo eroe di una civiltà di massa, un divo ammirato e amato in virtù non già delle sue opere, ma del fatto stesso di esistere, di darsi con meravigliosa passività, di conglomerare con la sua bizzarria e la sua sarcastica conversazione ascoltatori e spettatori. Ed è, anche, un perturbante autoritratto, soprattutto laddove di Johnson ci svela il lato più segreto: la malinconia, l’ipocondria, l’infelicità, aspramente combattute con il lavoro, con «i doveri dell’intelligenza, presidio della chiarezza interiore e dunque della moralità».